Mettiamo un Rosè sulle tavole di Natale

In Italia i rosati – bollicine a parte – sono snobbati e poco valorizzati. Il consumatore fatica a capirli e la filiera distributiva non lo aiuta. Pensare che alcuni piatti paiono fatti apposta per essere abbinati a questi vini: pizza, coniglio, pesci grassi (anguilla), pesci in guazzetto, salumi freschi. A ostacolare l’affermazione di questa tipologia interviene anche un obsoleto pregiudizio: molti la considerano ancora come una via di mezzo mal riuscita tra bianchi e rossi, quando non un vero e proprio taglio.

Rimanendo in tema di rosati fermi, tre sono in sostanza i distretti della nostra Penisola ove vi è una consolidata tradizione produttiva: il Garda coi suoi Chiaretto (particolarmente nel sud della sponda bresciana), l’Abruzzo con i Cerasuolo, la Puglia e segnatamente il Salento.

Il Valtenesi Chiaretto – sponda occidentale bresciana del lago di Garda, nasce da una lontana storia d’amore, quella tra la nobildonna gardesana Amalia Brunati e il senatore veneziano Pompeo Molmenti. Siamo nel 1885. Il matrimonio tra i due porta il Molmenti in Valtenesi con lui la sua passione per la viticoltura d’avanguardia e per la vinificazione in rosa appresa nei suoi molteplici viaggi in Francia. Idea nuova, prove, trovato il metodo di produzione certificato nasce il Chiaretto, a Moniga, in piena Valtenesi nel 1896.

Poche ore di contatto tra il mosto e le bucce delle uve rosse di territorio e poi il rito della svinatura notturna e della soffice pressatura; così il Chiaretto fa proprie la freschezza e il temperamento degli acini di Groppello, che determinano il suo carattere. Si può dire che il primo rosato italiano pensato come tale, sin dalla conduzione della vigna, sia proprio nato sulle sponde occidentali del Benaco.

Solo successivamente, passando al Garda veronese, il Bardolino – visti i successi del “cugino bresciano” – ha avuto la sua brava declinazione in rosa, con risultati apprezzabili anche in questo caso.

Mentre sul lago di Garda i rosè hanno sempre avuto una dignità a se stante, in Abruzzo il Cerasuolo ha dovuto competere con il Montepulciano e ci sono voluti ben 40 anni prima che il Cerasuolo avesse una sua identità ben chiara Cerasuolo d’Abruzzo, ben distinto dal Montepulciano d’Abruzzo. Oggi l’enologia aprutina è molto cambiata e si è notevolmente evoluta e trovare dei Cerasuolo di grande levatura, persino di buona longevità e magari affinati in legno, non è più cosa rara.

Il Salento è da sempre terra vocata alla produzione di rosati; siano essi posti sotto l’ombrello di qualche DOC, come Salice Salentino o Alezio, sia come IGT. Questo per delle condizioni pedoclimatiche favorevoli e  talvolta per smaltire i tanti volumi di vino prodotto, che necessitavano per ampliare il target di consumatori anche di una declinazione in rosa, sia per il tipo di cucina, fatta di ricchi primi, impeccabili con questa tipologia e soprattutto per il prestarsi di due grandi vitigni, Negroamaro e Malvasia Nera, alla vinificazione in rosa.

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